Zero in condotta

“Insegna al ragazzo la condotta che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne allontanerà” (Proverbi 22:6)


Sempre più spesso, televisione, radio e giornali narrano di giovani ragazzi protagonisti di atti di aggressività e violenza nei confronti di persone adulte o di coetanei. Non è sempre facile capire cos’è che spinge un ragazzo ad agire in modo riprovevole, ma di sicuro la Bibbia ci aiuta ad identificare con precisione il problema: il peccato. Il disturbo della condotta è una definizione con cui gli psicologi indicano una serie di comportamenti scorretti, attraverso i quali i diritti fondamentali degli altri, ma anche le norme e le regole della società adulta, vengono violate. Secondo gli esperti, l’origine di questo disturbo è plurifattoriale: qualcuno sostiene il discorso della predisposizione; altri associano il disturbo della condotta dei ragazzi a analoghi comportamenti errati presenti nei genitori; altri ancora, invece, sostengono che i fattori ambientali siano determinanti, cioè modelli inadeguati agiscono sullo sviluppo affettivo-razionale del fanciullo destinandolo così al potenziale sviluppo di un disturbo della condotta.

Il compito di insegnare
In seno alla famiglia, uno dei compiti da non trascurare è proprio quello dell’insegnamento. Difficile sì, ma da svolgere con audacia, coraggio e infinita pazienza da parte di entrambi i genitori e, soprattutto, con l’aiuto misericordioso di Dio.

Nella società moderna è andato quasi totalmente perduto questo aspetto della vita familiare. Ormai si pensa che l’insegnamento, l’istruzione, l’educazione siano responsabilità da delegare ad altri: l’istruzione secolare alla scuola statale, l’istruzione spirituale alla chiesa, l’istruzione biblica alla Scuola Domenicale, le regole del vivere sociale allo Stato. In realtà, queste istituzioni dovrebbero soltanto consolidare quanto è stato già insegnato nella famiglia. Il termine insegnare deriva da una parola latina “insignare” e significa letteralmente “imprimere un segno nella mente”. Quindi, fare apprendere con metodo teorico-pratico, dare insegnamenti di vita, ammaestramenti sul modo di comportarsi, mostrare, guidare, indicare, prendere per mano e altro ancora sono ampi esempi di ciò che realmente è l’insegnamento. Ogni vero genitore-insegnante deve identificarsi con il Sommo Insegnante e possedere quelle caratteristiche proprie di ogni servitore del Signore, caratteristiche che ritroviamo nella Parola di Dio. I genitori cristiani devono essere strumenti nelle mani di Dio per l’insegnamento e lo studio della Parola nell’ambito della famiglia. L’insegnamento dei genitori ha, in particolare, il seguente triplice scopo: condurre i figli a Cristo, svilupparne il carattere cristiano ed incoraggiarne il servizio al Signore.

Il compito di disciplinare
Il metodo biblico di correzione è la DISCIPLINA. Innanzitutto notiamo: lo scopo della disciplina nella famiglia cristiana per quanto concerne i figli è quello di introdurre un certo “controllo” nella vita del bambino. Questo può avvenire, prima di tutto, quando i genitori sono in grado di mostrare se stessi come esempi di autodisciplina e autocontrollo nella vita cristiana. Il detto “quello che sei grida così forte che non posso sentire quello che dici” è quanto mai vero nella famiglia. I genitori, che vorrebbero dei figli calmi e disciplinati, devono dare l’esempio di una vita ordinata. Le giovani vite sono plasmate secondo i modelli degli adulti. In secondo luogo, v’è il segreto della disciplina che risiede nello stabilire l’ordine divino nelle relazioni interpersonali. I genitori che si sottomettono all’autorità di Dio nella vita personale e familiare diventano un esempio per i figli. Del resto, non ci si dovrebbe aspettare dai figli maggiore obbedienza di quella che si dimostra verso il Signore che si professa di servire. Quando c’è una crisi nella cooperazione familiare si dovrebbe esaminare la propria relazione con il Signore, per verificare se l’obbedienza ne è ancora la chiave. Per attuare l’ingiunzione biblica di onorare i genitori nell’obbedienza, i figli hanno bisogno di vedere nella vita dei genitori una disciplina che meriti rispetto e generi obbedienza. L’equilibrio nei rapporti si raggiunge quando i genitori danno il buon esempio, invece di usare mezzi che “provocano ad ira” (Ef.6:4). Se si vuole disciplinare, non c’è alcun surrogato all’esempio. Infine, la radice del termine “disciplina” è “fare discepoli”, cioè ispirare dei seguaci. Probabilmente il compito più difficile per un genitore è quello di sviluppare un buon metodo per incoraggiare un comportamento esemplare e mostrare disapprovazione verso uno sbaglio. Il genitore che ama il figlio, ma non condivide la sua disobbedienza, è chiamato a rassicurarlo circa il proprio amore e, al tempo stesso, a mostrargli che la disobbedienza non può essere tollerata.

Il compito di trasmettere
“Quando…in avvenire, i vostri figli vi domanderanno: “che cosa significano per voi queste pietre?”Allora voi risponderete loro: “Le acque del Giordano furono tagliate davanti all’arca del patto del Signore…e queste pietre sono per i figli di Israele un ricordo per sempre” (Giosuè 4:7). L’episodio biblico narrato al capitolo quattro del libro di Giosuè ci presenta una grande verità, degna di essere considerata da ogni credente rigenerato dalla potenza del sangue di Cristo. L’ordine divino era chiaro: “prendete da qui, in mezzo al giordano, dal luogo dove i sacerdoti si sono fermati, dodici pietre; portatele con voi di là dal fiume, e collocatele nel luogo dove vi accamperete stanotte” (v.3). Queste pietre tratte dal fiume dovevano costituire un segno, un monumento per le generazioni future. Quando, infatti, quest’ultime avrebbero chiesto ai loro padri: “che cosa significano queste pietre?”, i loro genitori avrebbero così potuto narrare del grande miracolo del fiume Giordano che era stato diviso grazie alla potenza straordinaria dell’Iddio di Israele, per permettere a Giosuè con tutto il popolo di prendere possesso di Canaan. Già in precedenza avevano ricevuto l’ordine di Dio di trasmettere la storia alle nuove generazioni (Deut.6:20-25). Indubbiamente, tutto ciò non ha soltanto un valore storico e simbolico, ma anche spirituale. Infatti, le grandi opere che Dio ha compiuto nel passato non sono altro che pegni di benedizioni future, che Egli vuole e desidera spandere sui Suoi figli. Ci sono delle verità che devono essere trasmesse, proclamate alle nuove generazioni che non hanno conosciuto né visto le opere di Dio, affinché la loro fede possa essere incoraggiata e alimentata. Il compito di far capire il passato, come evento storico realmente successo, era affidato al padre e, in generale, all’anziano. Il padre nell’antico Israele doveva ricordare al figlio il motivo di tutte le ricorrenze festive descritte nella Torah. Anche se la sete di sapere è insita nel giovane, l’impegno dell’adulto, padre o anziano, è specifico. Sapere è importante, ma altrettanto importante è far sapere. Dunque, se da un lato v’è l’impegno dell’anziano nella trasmissione della storia, dall’altro lato vi deve essere la sete del giovane nell’assimilarla. Credere in Dio significa ritornare al passato, alle origini, alla storia. Non alle favole profane o alla mitologia, ma alla storia dei fatti realmente accaduti. Leggiamo nella Parola di Dio: “Ricordati dei giorni antichi, considera gli anni delle età passate, interroga tuo padre, ed egli te lo farà conoscere, i tuoi vecchi, ed essi te lo diranno” (Deut.32:7). Dunque, nella vita dei giovani credenti vi deve essere questa sete ardente di ritornare alle origini, al passato alle radici della fede autentica.

Gioacchino Caltagirone

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