Epistola di TITO: cap. 1 (prima parte)


Gli impegni di una guida fedele

    “Paolo, servitore di Dio e apostolo di Gesù Cristo per la fede degli eletti di Dio e la conoscenza della verità che è secondo pietà, nella speranza della vita eterna la quale Iddio, che non può mentire, promise avanti i secoli, manifestando poi nei suoi propri tempi la sua parola mediante la predicazione che è stata a me affidata per mandato di Dio, nostro Salvatore, a Tito, mio vero figliuolo secondo la fede che ci è comune, grazia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro Salvatore”. (1:1-4).
    I primi quattro versi di questa lettera, che costituiscono il saluto, formano nell’originale un’unica frase, lunga, complessa e ricca di significato. Lo scopo di questa lettera è simile a quella di Timoteo: incoraggiare e fortificare un giovane pastore subentrato all’apostolo in un difficile ministero. Nel magnifico saluto a Tito, Paolo evidenzia quattro importanti aspetti che caratterizzavano la sua vita ministeriale, quattro principi basilari sui quali ogni credente impegnato nella conduzione di una comunità dovrebbe fondare il proprio servizio.
  1. LA PERSONA DI PAOLO
    “Paolo…” (1:1a). In questo primo verso considereremo insieme la persona di Paolo.
    1. Il suo vecchio nome descrive la sua vecchia vita. Il nome ebraico di Paolo era Saulo (desiderato), come il primo re d’Israele. Ascoltiamolo parlare mentre è ancora il vecchio Saulo: “Già Saulo, nato a Tarso in Cilicia, città che non è senza rinomanza, educato in questa città, ed istruito ai piedi di Gamaliele con esattezza nella legge dei nostri padri; pieno di zelo per Dio - che servivo con pura coscienza, - circonciso l'ottavo giorno, sono della razza d'Israele, della tribù di Beniamino; ebreo, nato da ebrei; per la legge, fariseo; per la giustizia della legge irreprensibile. - Più avanzato nel giudaismo di molti di quelli della mia età e della mia nazione, essendo animato di uno zelo eccessivo per le tradizioni dei nostri padri, - ho vissuto da fariseo secondo i principi della setta più rigida, - perseguitando fuormisura la chiesa di Dio e devastandola. - Per la nascita poi cittadino romano”. Da questo si evince il suo orgoglio, la sua presunzione, tutte attitudini e sentimenti di un uomo che giace nel peccato;
    2. Il suo nuovo nome ci parla della nuova vita in Cristo. Subito dopo invece la sua miracolosa esperienza di fede, l’apostolo fu unicamente conosciuto con il nome greco di Paulos (piccolo). Ascoltiamolo adesso: “Ora poi, Paolo servo di Gesù Cristo, - creato apostolo non dagli uomini, né per mezzo di un uomo, - ma per rivelazione, per volontà di Dio, - cui io servo con il mio spirito, proclamando la grazie del Suo Figliuolo - per ultimo di tutti, come da un aborto, veduto anche da me. Conosco un uomo in Cristo, il quale (non so se nel corpo, non so se fuori del corpo, Iddio lo sa), fu rapito al terzo cielo. E so che quest'uomo (se nel corpo o fuori del corpo, io non so, Iddio lo sa), fu rapito fino al paradiso, e udì arcane parole, che non è lecito ad uomo proferire. Riguardo a quest'uomo io potrei gloriarmi, ma riguardo a me, di nulla mi glorierò, se non delle mie debolezze. E perché io non avessi ad insuperbire a motivo della eccellenza delle rivelazioni, m'è stata messa una scheggia nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi onde io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l'allontanasse da me; ed Egli mi ha detto la mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza. Perciò molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte. Cinque volte ricevetti quaranta colpi dai Giudei, tre volte fui battuto con le verghe, una volta fui lapidato, tre volte naufragai, una notte e un giorno stetti nel profondo mare; spesso in viaggi, tra i pericoli delle fiumane, pericoli degli uomini, pericoli degli assassini, pericoli dai miei connazionali, pericoli nella solitudine, pericoli dai falsi fratelli. Nella fatica e nella miseria, nelle molte veglie, nei molti digiuni, nel freddo e nelle nudità: oltre a quello che mi viene di fuori, le cure quotidiane che mi vengono sopra, la sollecitudine di tutte le chiese. Chi è infermo, che non sia io infermo? Chi è scandalizzato, che io non arda? Se fa di mestieri di gloriarsi, di quelle cose mi glorierò che riguardano la mia debolezza, - della croce del Signor nostro Gesù Cristo per cui il mondo è a me crocifisso, ed io al mondo. Se io evangelizzerò, non ne ho gloria; atteso che ne incombe a me la necessità, e guai a me se non evangelizzo! Quale è dunque la mia mercede? Che evangelizzando io dia gratis il Vangelo. Di fatti essendo io libero da tutti, mi son fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. E mi sono fatto giudeo con i giudei per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, come se fossi sotto la legge; con quelli che erano senza legge, come se io fossi senza legge, per guadagnare quelli che erano senza legge. Mi son fatto tutto a tutti per tutti far salvi. E tutto io fo per il Vangelo, affin d'esserne partecipe anch'io. A me che sono da meno del minimo di tutti i santi, è stata data la grazia di evangelizzare tra le genti le incomprensibili ricchezze di Cristo, e di svelare a tutti quale sia la dispensazione del mistero ascoso da secoli in Dio. Pure, o fratelli, quando venni a voi, ad annunziarvi la testimonianza di Cristo, venni non con sublimità di ragionamento o di sapienza. Però non mi credetti di sapere altra cosa tra di voi, se non Gesù Cristo, e questo crocifisso. Ed io fui tra voi con molto abbattimento e timore e tremore e il mio parlare, e la mia predicazione fu non nelle persuasive dell'umana sapienza, ma nella manifestazione di spirito e di potenza: affinché la vostra fede non posi sopra l'umana sapienza, ma sopra la potenza di Dio”. Sicuramente adesso il frutto dello Spirito è nella sua vita (Gal.5:22);
    3. Il suo carattere. Qualcuno ha lo ha definito in questo modo: “Ardente e pur guardingo, tenero spesso sino a raggiungere una soavità fuori dal comune; aggressivo, tenace ed ardito all'occorrenza, nelle sue stesse parole egli rivela quell'attività infaticabile, che avrebbe lasciato un solco profondo nella storia, e questa attività si vede sgorgare, come da sua prima fonte, da un sentimento intensissimo ed ispirato, toccante il più alto vertice della religiosità, ed accoppiarsi, al tempo stesso, con rara unione, ad uno slancio speculativo, che fu generatore delle supreme direttive dogmatiche del Cristianesimo. Tale era dunque l'uomo eccezionale, che intorno al sorgere dell'era cristiana, l'anno preciso è ignoto, nasceva in Tarso”.
  2. L’UMILTÀ DI PAOLO
    “Paolo, servo di Dio e apostolo di Gesù Cristo…” (1:1a).
    1. Non è affetto dalla sindrome da celebrità. Paolo avrebbe avuto pieno diritto di definirsi studioso brillante e intelligente, in grado di primeggiare nella società ebraica, ma anche conoscitore delle filosofie greche. Avrebbe potuto ostentare la propria legittima cittadinanza romana, vantaggio non da poco a quei tempi. Avrebbe potuto vantarsi della sua chiamata ad apostolo degli stranieri , del fatto di essere stato “rapito fino al terzo cielo…in paradiso” (II Cor.12:2-4), di possedere il dono di compiere miracoli e di essere stato scelto come scrittore di gran parte delle Scritture del Nuovo Patto. Invece, preferisce semplicemente presentarsi come servo di Dio (Matteo 2 0:20-24). L’apostolo Paolo afferma di aver servito il Signore “con ogni umiltà” (Atti 20:19; Col. 3:12; I Pietro 5:5), questa è una facoltà che si riferisce ad una condizione del cuore e della mente (cfr. Efes. 4:2: “virtù che consiste nel riconoscere il valore degli altri” ). L’umiltà non è debolezza né incapacità, ma somiglianza a Cristo Gesù. È proprio questa la virtù principale che favorisce l’unità cristiana. Un servitore di Dio è privo d’orgoglio anche se fermo sui principi della Parola (Ef.4:3);
    2. Il significato del termine. Doulos (servo), nella cultura del tempo di Paolo, era un termine che indicava un individuo sul gradino più basso della scala sociale. Il termine viene anche tradotto con “schiavo legato”. Usando questa espressione Paolo impiega la parola più servile e spregevole in uso tra i giudei. Il termine, inoltre, rende l’idea di una persona che serve ad un altro a discapito dei propri interessi, indicando quindi che la stessa regola vale per la sua vita: il vivere non secondo la propria volontà, ma secondo la volontà del suo Padrone (Gal.2:20). Benché come Saulo da Tarso fosse nato “libero”, Paolo accetta volentieri questa “schiavitù”. L’apostolo Paolo usa anche questa espressione per indicare l’attitudine di completa sottomissione: un prigioniero non dispone di completa libertà nei movimenti. Il segreto illuminante però sta nell'espressione “di Dio”. Essere schiavo di Dio significa deporre la propria volontà, i propri desideri, le proprie ambizioni ed accettare incondizionatamente il volere del Signore Gesù e studiarsi di piacerGli (Salmo 40:7, 8).
    3. Una particolarità interessante. In altre occasioni nei saluti, Paolo usa sempre l’espressione “servo di Cristo Gesù” (Rom.1.1; Gal.1:1; Fil.1:1), ma solo qui chiama se stesso “servo di Dio”.
      • In senso generale. Tutti coloro che credono nel Signore sono stati “liberati dal peccato e fatti servi di Dio” (Rom.6:22; I Pietro 2:26). Essere un credente significa essere un servo di Dio. Dunque, non apparteniamo più a noi stessi, ma siamo proprietà del Signore (I Cor.6:20; I Pietro 1:18,19). E giacché non apparteniamo più a noi stessi, non dobbiamo più vivere per noi stessi, “ma per Colui che è morto e risuscitato” (II Cor.5:15).
      • In senso speciale. Tuttavia, “servi di Dio” lo sono in modo particolare quelli, che sono chiamati ad un servizio specifico, più diretto, più completo e continuo. I profeti ad esempio venivano chiamati servi di Dio, come lo sono stati gli apostoli, e lo sono oggi i ministri della Parola (Atti 16:17; Giacomo 1:1). I due sensi, generale e particolare, si incontrano in Apocalisse 1:1. “Rivelazione... per mostrare ai suoi servi le cose che devono avvenire in breve... significata... al suo servo Giovanni...”.
      • Il servizio reso a Dio. Il termine apostolos significa anzitutto “messaggero” e talvolta era usato per indicare una persona di umilissima condizione che trasmetteva comunicazioni per conto di qualcun’altro. Ma, molto spesso, denotava un messaggero speciale, una sorta di ambasciatore, inviato con un messaggio particolare e autorevole. L’autorità del messaggio, dunque non deriva dal messaggero, ma dal mandante. Egli era ambasciatore di Cristo (Atti 9:15,16; 26:25-18).

    Gioacchino Caltagirone

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